Il patto di famiglia è un contratto che il nostro ordinamento ammette da pochi anni; solo con la L. 55/2006, infatti, è stato introdotto nel Codice Civile l’art. 768-bis che lo disciplina.
Il legislatore definisce patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia d’impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti.
È bene evidenziare che la norma in materia di patto di famiglia si applica anche alle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, in virtù di un espresso richiamo operato dalla L. 76/2016.
Prevendo la possibilità di ricorrere al patto di famiglia, si consente all’imprenditore di disporre liberamente della propria azienda o al titolare di partecipazioni societarie di disporre di esse per il periodo successivo alla propria morte, purché in accordo con i componenti della propria famiglia. Così facendo si permette a tali soggetti di garantire alla propria azienda o alle proprie partecipazioni societarie una successione certa a favore di uno o più dei propri discendenti che si ritengono capaci più degli altri di guidare l’azienda o di gestire le partecipazioni societarie.
Si tratta di un contratto per il quale è richiesta la forma solenne dell’atto pubblico a pena di nullità. Esso, inoltre, deve essere obbligatoriamente sottoscritto dal coniuge e dai legittimari che sarebbero tali se si aprisse la successione nel momento in cui si stipula il patto di famiglia.
A tutela dei legittimari esclusi, è stabilito che gli assegnatari dell’azienda provvedano a liquidare questi ultimi, ove questi non vi rinuncino in tutto o in parte, con una somma di denaro corrispondente al valore delle quote di legittima, ferma restando la possibilità per i contraenti di convenire una liquidazione totale o parziale in natura.
Se è vero che il ricorso al patto di famiglia ha indubbi vantaggi fiscali, è altresì importante evidenziare che il suo utilizzo incontra importanti limiti; ad esso, infatti, trova applicazione la disciplina generale sull’invalidità del contratto, in particolare la disciplina della nullità e della rescissione della divisione ereditaria per lesione nel caso di lesione oltre il quarto.
Per quanto riguarda gli aspetti fiscali è previsto un regime agevolato per i trasferimenti effettuati tramite patto di famiglia a favore di discendenti che si impegnino a continuare l’attività d’impresa ovvero ne detengano il controllo almeno per i cinque anni successivi al trasferimento e che rendano una dichiarazione con la quale si impegnino ad osservare le predette condizioni.
Nel dettaglio, l’articolo 3, D.Lgs 346/1990, come modificato dall’articolo 1, comma 78, della legge 296/2006, prevede che i trasferimenti, effettuati anche tramite patti di famiglia di cui agli articoli 768-bis e seguenti del codice civile a favore dei discendenti, di aziende o rami di aziende, di quote sociali e di azioni non sono soggetti all’imposta di successione e donazione.
Se l’azienda comprende beni immobili, il trasferimento è esente anche dalle imposte ipotecarie e catastali che dovrebbero gravare su di essi.
Con la recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 29500 del 24 dicembre 2020), inoltre, è ancora meno oneroso il trattamento fiscale del patto di famiglia. Secondo la Suprema Corte, infatti, la liquidazione della quota in denaro o in natura ricevuta dal legittimario non assegnatario nell’ambito di un patto di famiglia deve ricondursi a una donazione posta in essere sempre e comunque dal disponente. Da ciò consegue l’applicazione dell’aliquota e della franchigia previste con riferimento al rapporto di parentela intercorrente tra disponente e beneficiario non assegnatario con un importante alleggerimento in termini di imposta dovuta.
La Cassazione giunge a tale conclusione in quanto, di fatto, la liquidazione al legittimario non assegnatario è una donazione da parte del disponente. In altre parole, da un punto di vista tributario, non rileva che la liquidazione sia operata dal beneficiario del patto e non dal disponente originario, essendo esecuzione di un obbligo legale posto in capo al beneficiario che trova la propria causa nel patto di famiglia.
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