Il testamento del soggetto affetto da cecità


Relativamente alle persone affette da cecità la legge n. 18 del 3 febbraio 1975, rubricata “Provvedimenti a favore dei ciechi”, all’art. 1 prevede che “la persona affetta da cecità congenita o contratta successivamente, per qualsiasi causa, è a tutti gli effetti giuridici pienamente capace di agire, purché non sia inabilitata o interdetta a noma degli articoli 414, 415 e 416 del codice civile”.

Da un punto di vista di rapporti tra le diverse fonti normative, è discusso se la suddetta legge debba applicarsi agli atti ricevuti da notaio. La dottrina e la giurisprudenza prevalenti ritengono che la Legge n. 18 del 1975 non debba applicarsi agli atti notarili in quanto, in tal caso, l’intervento del notaio e le maggiori cautele apprestate dalla legge notarile costituiscono, per il cieco, una garanzia più che sufficiente. Altra parte della dottrina, invece, sostiene la possibilità di coordinare le varie normative (Legge Ciechi, Legge Notarile e Codice civile), in quanto compatibili.

È fortemente dibattuto se il soggetto non vedente possa farsi assistere nella redazione del suo testamento da un “partecipante” ai sensi dell’art. 3 della Legge 3 febbraio 1975 n. 18, considerata la natura personalissima della scheda testamentaria; secondo la dottrina prevalente ciò non è possibile.

Relativamente alla facoltà  del cieco di fare testamento, occorre analizzare le varie forme testamentarie previste nel nostro ordinamento.

Anzitutto, non si esclude che il soggetto non vedente, in grado di sottoscrivere, possa validamente redigere un testamento olografo ai sensi e per gli effetti dell’art. 602 del codice civile, non rappresentando l’impossibilità di leggere un impedimento.

Relativamente, poi, al testamento segreto, l’impossibilità di avvalersi di tale forma è sancita dall’art. 604, ultimo comma, c.c., ove il legislatore statuisce che “chi non sa o non può leggere non può fare testamento segreto” e dall’art. 2 della Legge sui ciechi che richiama la testé citata norma del Codice civile.

Il cieco può, però, ai sensi e per gli effetti dell’art. 609, ultimo comma del codice civile, validamente testare in forma pubblica, ferma restando la necessaria assistenza dei testimoni.

Bisogna poi distinguere a seconda che il cieco sappia/possa o meno sottoscrivere. Qualora egli sia in grado di sottoscrivere, nulla quaestio. Al contrario, ove non sappia o non possa sottoscrivere e si ritiene di dover applicare anche agli atti notarili la Legge sui ciechi, all’atto dovranno intervenire – oltre ai due testimoni notarili – anche due assistenti designati dallo stesso testatore e dovrà farsi menzione (con la formula “impossibilitato a sottoscrivere” di cui all’art. 4 della legge n. 18 del 1975) della causa specifica dell’impedimento, sia ai sensi dell’articolo 603, comma secondo, c.c. che dell’articolo 51, comma secondo, n. 10 della Legge notarile.

Nel caso in cui il soggetto non vedente sia anche muto, sordo o sordo-muto sarà necessaria, ai sensi dell’art. 605 c.c., la presenza di quattro testimoni aventi i requisiti di cui all’articolo 50 della Legge notarile.

Altro caso da esaminare è quello del soggetto cieco che possa apporre il solo crocesegno. È discusso, infatti, se il crocesegno costituisca un obbligo ovvero una facoltà: se si aderisce alla tesi che applica anche all’atto pubblico la Legge sui ciechi, questo è imposto a pena del mancato perfezionamento dell’atto; diversamente, se il criterio guida nell’applicazione della Legge sui ciechi è quello di porre il soggetto non vedente in una situazione di parità rispetto agli altri contraenti, la sottoscrizione con il crocesegno integrerà una mera facoltà. Qualora si riterrà di applicare la suddetta legge, il soggetto non vedente dovrà dichiarare di non poter sottoscrivere nelle forme ordinarie (indicandone la causa) ma di poter apporre unicamente un crocesegno; in tal caso, oltre ai testimoni, dovranno essere presenti anche due assistenti ai sensi dell’art. 4 della legge n. 18/1975.

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