La disciplina della trasformazione è stata notevolmente modificata con la riforma del 2003; oggi, le norme di riferimento sono gli articoli 2498-2500-novies del Codice civile.
Un’ipotesi sulla quale dottrina e giurisprudenza si sono soffermate è l’ammissibilità o meno della trasformazione da S.r.l. a ditta individuale. Il tema presenta un rilevante interesse pratico in quanto la qualificazione in termini di trasformazione consentirebbe al socio unico che intende proseguire l’attività come imprenditore individuale, di continuare a gestire la medesima impresa senza essere costretto a liquidare preventivamente i rapporti giuridici ad essa afferenti.
Secondo la giurisprudenza non integrano trasformazione né il passaggio da società in impresa individuale né il reciproco da impresa individuale a società, in quanto nel primo caso sarebbe necessaria la previa liquidazione della società e nel secondo caso si dovrebbe optare per una costituzione di società mediante conferimento dell’azienda. Sono numerose le pronunce giurisprudenziali di merito che sostengono tale posizione e anche la Corte di Cassazione è orientata in tal senso. In particolare, con la sentenza n. 496 del 14 gennaio 2015, la Cassazione, Sez. I Civile, ha ritenuto che il passaggio da una società (ente collettivo) ad un’impresa individuale non possa integrare una trasformazione in senso tecnico.
Le ragioni che portano la giurisprudenza a negare la possibilità di ammettere la trasformazione in oggetto sono varie, nello specifico: il carattere di eccezionalità della trasformazione, che consente il passaggio tra diversi enti derogando al normale procedimento di estinzione e costituzione degli stessi, la renderebbe inapplicabile ai casi non espressamente previsti dalla legge; gli enti per i quali il legislatore prevede che si possa ricorrere alla trasformazione, presentano due caratteristiche, la plurisoggettività e la separazione patrimoniale, che non ricorrono nel caso di impresa individuale; il passaggio da società a impresa individuale consentirebbe di evitare il procedimento di liquidazione delle società che è formalmente inderogabile per le società di capitali; infine, l’operazione potrebbe ledere i creditori sociali.
Di avviso diverso è la dottrina notarile (in particolare, Studio n. 545-2014/I CNN e Massima del Notariato del Triveneto K.A.37 del settembre 2014) che tende ad affermare la legittimità della trasformazione da S.r.l. a ditta individuale partendo dal presupposto che – con la riforma del 2003 – la qualificazione normativa, come “trasformazione societaria” del passaggio da società di capitali a comunione d’azienda e viceversa, deve essere interpretata come un implicito riconoscimento della possibilità di trasformare la società di capitali unipersonale in impresa individuale in forza del ricorso all’applicazione analogica della norma. Un tale trasformazione non disattenderebbe né il principio di tipicità della trasformazione, né la necessità di fornire un’adeguata tutela dei creditori sociali. Secondo il notariato, infatti, il principio di continuità dei rapporti giuridici può esplicare i propri effetti anche solo con riferimento ai beni che formano oggetto del complesso aziendale e non anche ai soggetti titolari dello stesso, rispetto ai quali è consentita un’alterazione dell’identità soggettiva e, inoltre, la qualificazione dell’operazione in termini di trasformazione eterogenea consente di tutelare adeguatamente i creditori attraverso il rimedio dell’opposizione ex art. 2500-novies del Codice civile.
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