La tutela giuridica del software

La tutela giuridica del software


1 – Caratteri generali del software e profili di tutela

Nell’informatica il software è definito come l’insieme degli elementi modificabili di un sistema – l’hardware – cioè il supporto che lavora in base agli input impartitigli dall’utente.
In particolare, il software è l’elemento ideativo mentre l’hardware è l’elemento materiale su cui il primo viene sfruttato in base alle specifiche esigenze.
Esso è costituito da un codice sorgente e da un codice oggetto anche detto binario.
Con il primo termine si indica il linguaggio convenzionale-formale usato dall’uomo per creare il software, mentre con il secondo si intende il linguaggio della macchina (in bit), la quale trasforma automaticamente il primo e lo rende elaborabile. Più precisamente, il codice oggetto è l’insieme delle istruzioni destinate ad essere elaborate dal software e a condurlo all’esecuzione dello specifico compito.
Premesse queste prime caratteristiche strutturali e considerato che la creazione di un software deriva dall’idea di uno o più esperti, è interessante spostare l’attenzione sul modo in cui questi (programmatori-inventori) possono proteggerli da potenziali tentativi di copie o furti online, fenomeni ancor più sentiti nella realtà aziendale.
Infatti, considerata la dinamicità con cui oggi le risorse informatiche si stanno sviluppando, è ormai divenuta indispensabile la conoscenza di tali programmi e, nello stesso momento, dei rischi connessi al loro utilizzo.
Pertanto, ad oggi non è difficile ritenere che il contenuto di un software – posto a disposizione di una quantità indeterminabile di soggetti – possa essere oggetto di plagio o altre attività illecite laddove le intenzioni degli utenti non si riassumano nel legittimo uso del bene bensì nella appropriazione indebita del contenuto per ottenerne un vantaggio personale e/o patrimoniale.

2 – Il software come bene giuridico

Per comprendere quali siano oggi gli strumenti legali posti a disposizione dei professionisti di settore per proteggere i loro programmi, bisogna analizzarne la natura dal punto di vista giuridico.
Partendo dalla considerazione che la possibilità di una tutela nasce dall’esistenza giuridica – e dunque presuppone che il bene tutelato abbia una propria “essenza” giuridica – bisogna comprendere se il software sia annoverabile tra i cosiddetti “beni giuridici”.
La risposta è positiva poiché, sebbene discenda da un’idea creativa, esso riserva un’utilità universalmente apprezzata – propria dei beni giuridici in quanto tali – da un pubblico diversificato, composto sia da persone fisiche sia da persone giuridiche.
Ciò che viene tutelato dalla legge, quindi, non è il supporto quale elemento materiale, bensì il contenuto del software – la cui funzione è destinata alla produzione di effetti – considerato opera dell’ingegno scaturente dallo sforzo intellettuale di un soggetto, e come tale meritevole di garanzie.
Una volta creato il software appartiene al suo autore, che potrà goderne e disporne secondo la sua volontà e, per la precisione, oltre ad essere annoverato tra i beni giuridici, rientra tra quelli immateriali. A tal proposito, si sottolinea che ad oggi, grazie al processo di “smaterializzazione” avveratosi, questa caratteristica non costituisce più un ostacolo alla tutela dei software informatici.

3 – La tutela del software alla luce della normativa vigente

Volendo ora inquadrare l’argomento dal punto di vista normativo, si pone l’attenzione sulla prima forma di tutela esistente nel nostro ordinamento, quella discendente dal Diritto d’Autore – garantita dalla legge n. 633/41 – la quale gode di ampia attuazione in Italia e tutela le opere creative, divise in opere d’ingegno e invenzioni industriali. Essa garantisce da un lato l’opera intellettuale e, dall’altro il suo autore, considerando che si tratta di una tutela richiamabile in giudizio nel caso in cui vi sia una copia letterale, anche parziale, del contenuto del bene tutelato.
L’applicazione degli effetti di questa legge si ritrovano anche nel Codice civile (v. artt. 2575 c.c. e seguenti).
L’art. 2575 c.c. prevede espressamente che qualunque sia la forma o la modalità di espressione delle opere dell’ingegno a carattere creativo, esse, a partire dal momento della loro creazione, formano oggetto del diritto d’Autore.
Grazie all’evoluzione avuta in questo ambito e al progresso informatico, il quale ha dispiegato i propri effetti inevitabilmente anche nel mondo giuridico, si è giunti ad una piena equiparazione dei programmi di elaborazione alle opere letterarie e artistiche, permettendo in tal modo che il codice del programma venga protetto nella stessa misura di queste e che il professionista si veda riconosciuti dei diritti – divisi in morali e patrimoniali – a partire dal momento della creazione dell’opera, acquistata quindi a titolo originario.
I diritti morali sono inalienabili ed esistenti indipendentemente dalla cessione del bene a terzi o dalla stipula di un contratto che ne preveda l’utilizzazione economica, poiché strettamente legati all’autore e sono sanciti dagli artt. 20 e 24 della legge n. 633/41:

  • diritto alla paternità del software;
  • diritto all’onore e alla reputazione;
  • diritto di inedito, che concede all’autore la possibilità di scegliere se pubblicare il software o meno.

I diritti patrimoniali, invece, permettono all’autore l’utilizzazione economica dell’opera (art. 12 l.d.A; art. 2577 c.c.), in forma originale o derivata, e di ricevere un compenso per ogni tipo di uso della stessa, tra cui:

  • attività di commissione/sviluppo software;
  • il noleggio;
  • la licenza d’uso;
  • il prestito.
4 – I limiti della protezione del Diritto d’Autore e il confronto con la tutela brevettuale

Tuttavia, le potenzialità di questa forma di tutela sarebbero oggi minate da condotte di difficile eliminazione, come rilevato da numerosi studi in materia. Tra queste, vi è il cosiddetto “reverse engineering”, cioè la possibilità di risalire dal programma al suo diagramma di flusso, riuscendo così a crearne uno nuovo e apparentemente diverso, ma che svolga però le medesime funzioni.
Pertanto, si ottiene una diversità di linguaggio – senza incappare nella violazione del diritto d’autore – nonostante il risultato e le funzioni siano le stesse.
A fronte di questo tipo di condotte il Copyright (letteralmente diritto di copia) risulta essere una tutela parzialmente efficace in quanto protegge i software informatici limitatamente al modo in cui è scritto il codice sorgente, cioè il linguaggio di programmazione usato dall’esperto ma percepibile – più o meno facilmente – dall’utente (leggi il nostro approfondimento sul deposito del codice sorgente del software presso il Notaio).
Da qui nasce il discrimine tra l’efficacia della tutela autorale (“Copyright Approach”), sopra descritta, e quella brevettuale (“Patent Approach”). Questa seconda forma di tutela – che può anche coesistere con la prima – prevede la possibilità di ottenere un brevetto su un software, più precisamente sul suo contenuto (algoritmo).
Il percorso previsto per ottenere tale protezione è più lungo e complesso, ma secondo alcuni più efficace in quanto la garanzia tramite brevetto viene rilasciata con lo scopo di proteggere non il codice in quanto tale, bensì le funzionalità e prestazioni proprie del software e questo rende di fatto impossibile l’attuazione del fenomeno “reverse engineering” nonché di condotte similari.
Da ultimo deve rilevarsi che non tutti i professionisti intendono ottenere lo stesso livello di protezione sui propri software, in quanto le esigenze nonché gli scopi legati alla loro creazione sono molteplici e possono presupporre un grado di tutela differente.
Dunque, prima di ricorrere ad una determinata forma di tutela occorrerà comprendere a cosa questa risulterà utile e, una volta fatto, la scelta sarà orientata sulla base degli obiettivi e strategie di ciascuno (leggi anche il nostro approfondimento sul contratto di sviluppo di software).

 

 

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