Al giorno d’oggi in tema di successione per causa di morte occorre preoccuparsi delle sorti di quello che viene definito “patrimonio digitale” e chiedersi cosa include e se cade o non cade in successione.
La dottrina distingue tra “documenti offline” e “documenti online”. I primi sono quei documenti salvati ad esempio nella memoria di un computer, ma non condivisi in rete, e riguardo a essi si ritiene che cadano in successione. Il vero problema riguarda i documenti online e le pagine sui social networks.
Oggi tutti abbiamo una “vita digitale” e alcuni hanno fatto di essa una vera e propria fonte di guadagno. La domanda che ci si pone è: cosa accade alle pagine social di ciascuno di noi dopo la nostra morte? Ad esempio la pagina Instagram o quella Facebook? Tutti questi portali, nelle loro condizioni generali, prevedono la cosiddetta morte digitale: la morte fisica di un soggetto ne comporterebbe anche quella digitale e, dunque, verrebbe meno la possibilità per gli eredi di accedere ai contenuti di questi social networks.
Le condizioni generali di Facebook, ad esempio, prevedono il blocco del profilo nell’ipotesi di morte del soggetto che ne è titolare. Ma queste condizioni generali sono vincolanti o non sono vincolanti? La questione è stata affrontata in Germania ove la Corte di giustizia federale è stata chiamata a decidere su un caso avente ad oggetto la contestazione delle suddette condizioni generali di contratto previste da Facebook nel caso di morte di un soggetto titolare di una pagina sul social network.
Il caso sottoposto ai giudici tedeschi riguarda la storia di due genitori la cui figli si era tolta la vita, i quali avevano chiesto a Facebook la possibilità di accedere al profilo della figlia deceduta per acquisire contenuti, foto, video e averne un ricordo ma Facebook aveva risposto negativamente affermando che per tutelare la riservatezza dei soggetti deceduti le loro pagine muoiono con loro in virtù di quanto previsto nelle condizioni generali di contratto. La Corte di giustizia federale ha dato ragione ai genitori e ha obbligato Facebook a fornirgli le credenziali per entrare nel profilo della figlia deceduta e avere accesso a tutti i contenuti.
Il caso sottoposto ai giudici tedeschi ha sancito il principio generale della caduta in successione delle pagine Facebook e delle informazioni in esse contenute; caduta in successione che non può essere impedita da quanto previsto nelle condizioni generali del portale. In Germania, dunque, si è affermato il principio della caduta in successione di questi profili e il titolare dello stesso può disporre del suo profilo per il tempo in cui avrà cessato di vivere sulla base di un atto mortis causa, quindi prevedendo in un testamento chi debba ricevere la sua eredità digitale.
Diverso è l’approccio delle corti americane secondo le quali l’identità digitale è disponibile inter vivos da parte del titolare dell’identità digitale stessa e, dunque, la condizione generale contenuta nei contratti con Facebook e Instagram, che prevede la morte digitale a seguito della morte fisica, è valida e idonea a precludere la caduta in successione dell’identità digitale.
Per quanto riguarda l’ordinamento italiano risulta interessante analizzare il Codice della Privacy (D.Lgs. 196/2003), in particolare l’articolo 2 terdecies. Tale norma prevede che i diritti riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possano essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario o per ragioni familiari meritevoli di protezione. La norma prosegue prevedendo, al comma 3, che la volontà dell’interessato di vietare l’esercizio dei suddetti diritti deve risultare in modo non equivoco e deve essere specifica, libera e informata; il divieto può riguardare l’esercizio soltanto di alcuni dei diritti sopra menzionati.
Da questa norma del Codice della Privacy emergerebbe che, in linea di principio, i dati personali (e anche l’identità digitale) si trasferiscono agli eredi e, di conseguenza, sarebbe possibile individuare, per testamento, un soggetto che si occupi della gestione dei propri dati personali dopo la morte, anche di quelli relativi all’identità digitale; alla persona individuata dal testatore occorre lasciare le password necessarie per avere accesso al patrimonio digitale (ad esempio, indicando un luogo fisico dove trovarle).
Come sopra detto, la norma analizzata al comma 3 prevede che il testatore possa anche impedire l’esercizio dei diritti in oggetto: egli può, quindi, impedire che gli eredi possano accedere a dette informazioni personali purché questo divieto risulti essere espresso in modo libero, preciso e informato.
Alla luce di quanto detto, l’indice normativo analizzato non risulta pienamente in linea con la giurisprudenza tedesca perché è vero che si ammette la caduta in successione dei diritti relativi ai dati personali, ma si ammette anche la deroga a tale previsione per atto inter vivos, mentre la giurisprudenza tedesca non ritiene legittima l’esclusione inter vivos del passaggio in successione di tali diritti.
Provando a trarre delle conclusioni, seppur con la consapevolezza che la disciplina in materia è in divenire, si potrebbe affermare che l’adesione alle condizioni generali di contratto che ci sottopongono portali come Facebook o Instagram non rappresenterebbero una deroga al comma 3 dell’art. 2 terdecies del Codice della Privacy, in quanto dette condizioni generali non sarebbero oggetto di trattativa individuale, e quindi non rappresenterebbero una esclusione specifica, libera e informata. Conseguentemente, le condizioni generali di Facebook o di Instagram che prevedono la morte digitale di un soggetto a seguito della sua morte fisica non sarebbero vincolanti e si potrebbe riconoscere a ciascun soggetto titolare di un profilo social la possibilità di individuare, per testamento, un mandatario che si occupi della gestione del suo account dopo la sua morte e che benefici, altresì, degli eventuali diritti patrimoniali connessi al patrimonio digitale caduto in successione.
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