L’imputazione a capitale dei finanziamenti dei soci: inquadramento e disciplina


In tema di versamenti che i soci possono effettuare in favore della società, occorre anzitutto tener conto del principio secondo cui nessun socio è tenuto ad apporti ulteriori rispetto a quelli ai quali si è obbligato in sede di costituzione della società, se non in virtù di una propria manifestazione di volontà.
Parlando di “apporto” si fa riferimento alla dazione di somme di denaro da parte dei soci in favore della società e tale “dazione” può essere alternativamente qualificata come un “finanziamento” o come un “conferimento di capitale di rischio”. Mentre il finanziamento è un mutuo che vede il socio nella veste di mutuante e la società nella veste di mutuatario e che può essere gratuito o oneroso, il conferimento a titolo di capitale di rischio è un apporto che concorre alla medesima natura del capitale e che sarà pertanto restituibile soltanto all’esito delle operazioni di liquidazione, purché dalle stesse avanzi un residuo attivo.
Nella pratica, tuttavia, i confini della suddetta distinzione tendono a sfumare, in considerazione del fatto che, nella maggioranza dei casi, gli esborsi spontanei dei soci non vengono puntualmente qualificati con accordi negoziali tra soci versanti e società, ma si riducono a semplici contributi di cassa. Questa ambiguità nella ricostruzione dei singoli casi concreti ha fatto sì che nel tempo si creasse una netta contrapposizione tra la giurisprudenza e la dottrina in quanto la prima tende a preferire, nelle ipotesi dubbie, la qualificazione in termini di apporti a titolo di capitale di rischio mentre parte della dottrina ritiene che, anche qualora le somme versate fossero appostate in una riserva ad hoc e quindi ricomprese nel patrimonio netto, ciò non esclude che possano essere restituite ai soci anche prima della liquidazione della società e con preferenza rispetto ad altri creditori sociali.
A dettare un criterio risolutivo di alcune ipotesi dubbie è intervenuto il Legislatore della riforma del 2008, il quale, all’articolo 2467 del codice civile, ne ha previsto, in materia di s.r.l., la postergazione, ossia l’obbligo di pagare prima i creditori sociali prima di procedere al rimborso dei finanziamenti dei soci.
Ciò detto, la dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato dei criteri di classificazione relativamente alla natura giuridica dei conferimenti fuori capitale.
Anzitutto, occorre evidenziare che in nessun caso si tratta di atti di liberalità che il socio compie in favore della società o degli altri soci; si tratta di versamenti che rispondono all’interesse del conferente al migliore funzionamento della società stessa.
Il versamento può essere effettuato a fondo perduto e, in questo caso, è privo di una destinazione specifica, pertanto, potrà essere impiegato dalla società per qualsiasi scopo, in genere per far fronte ad una perdita. Per esso non esiste alcun obbligo di restituzione. Nell’ipotesi in cui il versamento a fondo perduto sia effettuato in favore di una società “in bonis”, esso è denominato versamento in conto capitale. La differenza tra le due figure è espressa in relazione al momento in cui è eseguito l’apporto: in entrambi i casi, comunque, esso è definitivamente acquisito al patrimonio sociale.
Diretta conseguenza di quanto detto è la seguente: mentre i versamenti a fondo perduto, essendo destinati a coprire una perdita già esistente, non possono essere impiegati per uno scopo diverso, i versamenti in conto capitale possono essere utilizzati anche ai fini di un aumento di capitale e prevale l’opinione secondo cui si tratterebbe di un aumento gratuito.
Può ricorrere, poi, la figura dei versamenti “in conto futuro aumento di capitale” ed “in conto capitale”, destinati a coprire aumenti di capitale sociale.
I primi sono quelli che i soci fanno in vista di un futuro aumento di capitale che sarà deliberato dalla società e quest’ultima ha l’obbligo di restituirli nel caso in cui l’aumento di capitale cui sono subordinati non sia deliberato entro il termine convenuto. Essi, dunque, sono utilizzabili in sede di sottoscrizione di aumento del capitale a pagamento.
Quanto, infine, ai versamenti in conto capitale, essi sono definiti come i versamenti che il socio effettua in favore della società e vanno ad accrescere il patrimonio netto della stessa senza alcun vincolo di destinazione particolare e senza obbligo di restituzione da parte della società. Essi sono utilizzabili per aumenti gratuiti del capitale e riduzioni del capitale per perdite, in tale ultimo caso, infatti, vengono usati per ripianare le perdite della società.

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